Una spiritualità comunitaria o “delle relazioni nella carità”

La parola “spiritualità” non è molto chiara nella nostra società. Si confonde facilmente con “religione”, “religiosità”, “devozione”.

In realtà, “spiritualità” è qualcosa che ha a che fare con l’uomo, prima ancora che con la religione. L’uomo porta in sé un inestinguibile anelito di infinito, di eternità. L’attuale crisi dell’umanità ha ridotto drasticamente la capacità di sostenere l’intensità della luce del cielo e di proiettare verso l’infinito il suo sguardo. E’ come se, in esso, si sia sviluppata una miopia programmata, perché, non potendo sostenere la bellezza della luce del cielo, ogni persona sia portata a lasciarsi catturare dalle luci di uno stadio o di una vetrina di un negozio, per dirottare la sua domanda di infinito verso la materia, che non è infinita ma corruttibile.

Poiché l’uomo è anche spirito, quando egli riesce a fissare lo sguardo sul cielo, oltre sé stesso, quando comincia a darsi un senso alla sua esistenza e all’esistenza, in generale, quando comincia a guardare alla natura, al prossimo e perfino alla possibilità di un Dio, egli sta esercitando la sua spiritualità. Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Madre Teresa di Calcutta, Schumann e i padri fondatori della nuova Europa Unita, espressero tutti, indipendentemente dal loro credo, una forte spiritualità, in quanto proiettati, nel loro spirito interiore, a fare della loro vita un segno per migliorare il mondo in cui vissero e dal quale provennero.

Nel cristianesimo, la spiritualità ha come origine, fine e fulcro Gesù Cristo e il Regno di Dio. Non è, però, mera religiosità, un vago credere in un Dio come possibile entità suprema e neanche partecipare a tutte le feste di paese e del santo patrono come se si andasse alla sagra di quartiere nelle serate estive. La spiritualità cristiana vede in Cristo il compimento del progetto di Dio sull’umanità e vede nel vangelo (nelle beatitudini, nel perdono, nel comandamento dell’amore) il progetto di una nuova umanità che sia anticipazione, sulla terra, del Regno di Dio. Paradossalmente, si può essere “religiosi”, partecipare ai riti religiosi della Chiesa e non avere alcuna spiritualità. La spiritualità in senso cristiano è l’orientamento della spinta religiosa verso un fine. Il fine è il Regno di Dio. Il Regno di Dio si costruisce facendo di sé uno strumento di Dio per realizzare nel mondo le beatitudini, la giustizia, la pace.

Allo stesso modo, si può essere “religiosi” e non solo non avere alcuna spiritualità ma, al contrario, essere fattori di distruzione della convivenza umana. Per questo motivo, il vero cristiano sà che la vera differenza sulla quale si gioca il futuro non è essere credento o non credenti, praticanti o non praticanti ma essere persone di spiritualità oppure senza spiritualità. E questa spiritualità si può trovare nel non credente come nel credente. Quando essa esiste nel cuore di una persona o di un gruppo umano, essa definisce l’essere stesso delle persone e della speranza di una convivenza umana nuova.

Per questo, la spiritualità della Chiesa, fondata su Cristo come Figlio di Dio, salvatore e redentore, è una spiritualità di comunione, di unità, di nuove relazioni fondate sulla carità. Possiamo dire una “spiritualità del Regno”.

E proprio in questi termini che Gesù si esprime nel Vangelo di Giovanni e sono queste le parole che fondano la spiritualità della Chiesa come spiritualità di comunione:

In quel tempo, Gesù, alzati gli occhi al cielo, pregava dicendo: “Padre santo, non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola.

Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.

Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro.

(Gv 17,20-26)

Possiamo dire, in modo molto semplice, che è cristiano non chi partecipa, senza alcun impegno personale, ai vari riti della Chiesa ma chi celebra questi riti come momento culminante del suo essere in Cristo, segno e strumento dell’unità della famiglia umana, promotore, in Cristo, di una sa comunità civile e di una “comunità” o “popolo” di Dio. E’ l’impegno, il mettersi in gioco, l’avere una visione chiara sul piano umanistico e cristiano (ciò che è autenticamente cristiano non può ignorare ciò che è autenticamente umano perché “umano” e “cristiano” non sono in opposizione) e spendersi per questa visione facendone un progeto di vita… Questo è ciò che definisce il cristiano come “persona di spiritualità”.

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